Una possibile inidoneità della famiglia d’origine ad allevare, istruire e soprattutto educare il proprio figlio era già stata prevista dai costituenti e codificata nell’art. 30 della nostra Costituzione, che afferma il principio per cui nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti (è sottinteso da altri). La legge 184/83 “Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori” costituisce una specie di “rivoluzione copernicana” del nostro ordinamento giuridico, ponendo al centro dell’attenzione l’interesse del minore, non quello dell’adulto. Un interesse del minore che va tutelato, così come dispone la legge, ricercando per lui e con lui la migliore risposta possibile alla situazione di disagio sua o della sua famiglia, attivando per questo tutte le risorse possibili, istituzionali e non, ed avendo solo come extrema ratio il ricorso all’istituto assistenziale.
In questo senso si comprende l’importanza di percorrere tutte le strade che la fantasia educativa può trovare affinché l’intervento di aiuto sia effettivamente mirato sui bisogni del ragazzo e della sua famiglia.
Tra i possibili interventi, la legge prevede (art. 2) quello della comunità di tipo familiare laddove non sia possibile o opportuno l’immediato affidamento ad una famiglia o a una singola persona.
La comunità educativa a dimensione familiare per minori si caratterizza per un’organizzazione di vita di tipo familiare e per la presenza di un’équipe educativa di operatori sociali stabili che condividono tempi e spazi della comunità. Il numero dei minori ospiti non deve essere superiore a sei e deve tener conto dell’età, delle problematiche e delle tipologie previste. La comunità ospita ragazzi con PEI concordato con i servizi pubblici di riferimento. La struttura di accoglienza è una normale abitazione, con dimensioni congrue al servizio che si offre. Rispetto al numero degli educatori, il rapporto operatori/utenti deve garantire una proficua relazione educativa, per cui si ritiene opportuno che esso sia, di norma, di 1 a 3.
CASA IRENE
Casa Irene è la prima comunità educativa della cooperativa. Aperta nel novembre del 2000, è ispirata ai principi fondativi della cooperativa Irene ’95: solidarietà, accoglienza senza condizioni, pace.
Casa, perché la dimensione dell’accoglienza vuol essere, appunto, familiare; il calore delle relazioni familiari, le dimensioni di una casa ampia e accogliente, vogliono essere, per i ragazzi accolti, quell’ambiente terapeutico-educativo globale che favorisca percorsi di cura, tutela, empowerment.
Irene, dal greco, vuol dire, appunto, “pace”: una pace che viene dai conflitti affrontati e risolti, dalla convivialità delle differenze, dalla serenità d’animo conquistata-riconquistata che è garanzia di crescita armonica ed emancipazione.
CASA MOMO
La protagonista di un bellissimo racconto di M. Ende (Momo, appunto) ci è sembrato il personaggio che paradigmaticamente potesse meglio rappresentare lo stile della nostra accoglienza residenziale per bambini in particolari difficoltà.
La protagonista di un bellissimo racconto di M. Ende (Momo, appunto) ci è sembrato il personaggio che paradigmaticamente potesse meglio rappresentare lo stile della nostra accoglienza residenziale per bambini in particolari difficoltà. Momo un bel giorno fa la sua misteriosa comparsa nella periferia di una grande città, fa amicizia con gli abitanti… e si fa amare ed apprezzare da tutti per una straordinaria capacità, quella di saper ascoltare gli altri. Chiunque ha un problema, un dolore, una questione da risolvere, va da Momo e accanto a lei trova la pace, la serenità e la soluzione a tutti i problemi. Ma la città è stata «invasa» dagli uomini grigi che vivono rubando il tempo alla gente. Con l’aiuto di Mastro Hora e della simpatica tartaruga Cassiopea, Momo riesce a sconfiggere i signori grigi e riporta l’armonia e la vita tra i suoi carissimi amici. Abbiamo tutti bisogno di una Momo che ci sta accanto e ci ascolta nei momenti difficili!
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